Thelma
un grande amore fa breccia piano piano...

Appassionato di motociclette da sempre, era l’inizio di settembre del ’94 quando, sfogliando un giornale di settore, l’occhio mi cadde su un annuncio economico: si trattava di una Honda Goldwing 1200, corredato da una foto “formato francobollo”: subito avvertii un fremito.

Proprio in quell’anno, durante un viaggio negli Stati Uniti rimasi colpito da queste possenti motociclette, lì già allora molto diffuse. Così mastodontiche, a me che provenivo dalle leggere e agili enduro monocilindriche, non mi parvero neanche delle vere e proprie moto, anche se sulle Highway americane assumevano un aspetto quasi regale.

Volli far finta di niente, ma nei giorni successivi sempre più spesso mi ritrovavo con la rivista tra le mani, a rileggere l’annuncio ed osservare la fotografia nei minimi dettagli. Sebbene piccolissima, lasciava trasparire la moto in una livrea scura apparentemente immacolata.



Bè… per un endurista che sogna la Parigi-Dakar è dura ammettere di subire il fascino di una Goldwing!

Ero confuso, cioè, andavo a mettere in discussione qualcosa di molto radicato. Un po’ alla volta però, si fece sempre più grande il desiderio di chiamare; finché, sopraffatto dalla curiosità, telefonai.

Si trattava di un modello dell’86, già con 8 anni di vita quindi, e ben 100.000 km percorsi. «Potrebbero sembrare tanti» commentò il proprietario, «ma non per questa motocicletta!» mi rassicurò. «Vabbè…» conclusi scettico.

A parte la mia perplessità suffragata dal gran chilometraggio, il proprietario mi parve un grande appassionato, e da quel che aveva lasciato intendere, la moto doveva realmente presentarsi in condizioni splendide.

A questo punto il desiderio di andarla a vedere si fece prepotente. A Pescara si trovava il bestione, ben 700 km da casa mia, ma dopo ulteriori contatti e ragguagli, un paio di settimane più tardi, in treno, mi avviai.

Munito di casco e tutto l’occorrente, la mia intenzione era proprio quella di tornare a casa con la moto, ma… se a questo punto foste indotti a pensare al classico “colpo di fulmine”, vi sbagliate!!

Effettivamente, la moto, di un blu quasi immacolato faceva un figurone. Mastodontica, da ferma mi colpì per l’esuberanza delle sue forme, ma l’idea di doverla guidare mi metteva in soggezione. Ed infatti, influenzato dal mio stato d’animo il giro di prova che seguì ne decretò l’incompatibilità.

«Inguidabile!» sentenziai.

Mai e poi mai avrei potuto immaginare che quel primo contatto, avrebbe sancito l’inizio di una storia destinata a durare nel tempo.

Mentre me ne tornavo a casa, mestamente in treno così com’ero venuto, nell’ozietà dello scompartimento non facevo altro che pensare a quella moto: “bella e impossibile”! Nei giorni successivi non me la toglievo dalla mente. Mi crucciavo, e mi davo del superficiale per aver espresso un giudizio troppo frettoloso, tipico del mio carattere ancora acerbo…

Due settimane più tardi però, dopo rimuginamenti tali da togliermi il sonno, presi una decisione irrevocabile: ricontattare il proprietario e nel caso la moto fosse ancora disponibile, chiedergli la cortesia di condurmela fino a casa, dove su strade amiche, avrei più facilmente preso confidenza.

Era sabato 30 ottobre dell’anno 1994, quando un’ancora anonima Goldwing 1200, spodestando l’automobile per problemi di spazio, si insediò stabilmente al centro del mio garage.

Abituato alla guida delle leggere enduro non fu per nulla facile, ma il desiderio che quella moto diventasse “la mia moto”, era fortissimo. Paradossalmente, per quel suo look debordante piaceva anche a mia madre, la quale si sentiva più tranquilla a pensarmi protetto da cotanta carrozzeria.

Più la guardavo più mi attraeva. Accovacciato di fianco a lei, perdevo delle ore rimirandola a 360 gradi. Così abbondante e piena si prestava benissimo alla personalizzazione ed io, dotato di discreta fantasia e manualità, passavo gran parte del mio tempo libero a sagomare accessori che una volta cromati, le sarebbero calzati alla perfezione.

L’anonima Goldwing diventava sempre più “mia”…

Seguirono estati rombanti. Il feeling aumentava ad ogni uscita e via via, scoprivo piccole e grandi debolezze che durante l’inverno lavoravo per sanare.

Ci vollero circa 4 anni; non solo di personalizzazioni che assecondassero gusto estetico e misure antropometriche, ma anche di importanti lavori alla meccanica, prima che un’anonima Honda Goldwing 1200, si trasformasse in Thelma, straordinaria “touring machine”, capace di viaggiare, se non meglio, “navigare” ai 4 angoli del pianeta!



Vabbè, il resto è storia recente…

Con dedizione e amore, ho imparato a condurla in situazioni estreme: insieme, abbiamo fatto grandi traversate intercontinentali. Come una sorta di Bonnye&Clyde il nostro è un team ormai consolidato, dove ognuno ha dei compiti ben precisi: io instradarla su rotte affascinanti, lei, ricondurmi a casa…

Nell’agosto del 2005, di ritorno da un viaggio memorabile sulla via della Seta, Thelma ha compiuto i suoi primi 300.000! Con la generosità che l’ha sempre distinta, l’ha fatto con disinvoltura, come chi sa di poter dare ancora molto…

In quell’occasione l’ho nominata regina; e finché lei non intenderà abdicare, impiantandosi inesorabilmente in qualche angolo sperduto del pianeta, le ho giurato fedeltà!

Per il suo cavaliere sono seguiti momenti difficili: causa grandi dolori alla schiena che si protraevano ormai da anni, ho dovuto capitolare, e sottopormi ad un delicato intervento. Nell’ottobre del 2006 il neurochirurgo mi ha fissato una piastra in titanio con 6 viti per ridurre uno scivolamento delle prime vertebre lombari. Ora tutto sembra superato e mi sento di nuovo pronto.

La regina nel frattempo, tirata a lucido nella sua ancor splendida livrea blu, scalpita bramosa, in attesa del prossimo viaggio intercontinentale, che si preannuncia come il più difficile e lungo della sua inesauribile carriera…


Italo e una moto di nome Thelma
una di quelle coppie destinate a durare…